Un anno senza Steve Jobs

Ricordo le battaglie, negli anni ’90, quando in Italia Apple era praticamente sconosciuta ai più: i siti web dei fan di Cupertino organizzavano le petizioni contro le testate in edicola che rilasciavano dei bellissimi Cd-Rom solo in versione Windows, si organizzava il MacDay a Modena, e gli amici del POC riunivano, una volta al mese, “evangelisti” da tutta Italia attorno a una pizza sui navigli.

All’epoca, spiegare agli amici perché avevi scelto di acquistare un Macintosh era davvero una faccenda scomoda, poiché a parer loro erano più i motivi per non comprarlo che quelli per farlo: “Non ci sono tanti programmi per gli Apple”, dicevano, “Non trovo i giochi come su PC”. E la più classica di tutte: “Ma il Macintosh è solo per i grafici!”.

Se provavi a parlare del CEO di Apple a qualcuno prima dell’avvento di iPhone, la risposta era “Jobs chi?”. Il celeberrimo discorso ai neolaureati di Stanford ha cominciato a girare in Rete quando YouTube nemmeno esisteva: dopo 2-3 anni era lì che girava solamente tra gli addetti ai lavori, le community Apple, i Blog.

Apple senza Jobs, a metà degli anni ’90, subiva perdite a sette zeri ogni mese: nel 1997 il suo rientro azienda e il ritorno, nel giro di pochi anni, ai fasti degli anni Ottanta grazie agli iMac gelatinosi e colorati e ai fantastici processori G3 e G4 che nelle pubblicità “tostavano” gli Intel senza troppi complimenti.

All’inizio degli anni 2000 è la volta di iPod, con annesso l’ecosistema di iTunes e, a partire dal 2004, l’ascesa di Apple diventa praticamente inarrestabile da ogni punto di vista rispetto al quale è possibile misurare i risultati di un’azienda: fatturato, numero di utenti, market share, utili, cassa, punti vendita, notorietà di marca, capitalizzazione borsistica.

Nel 2007 l’avvento dell’iPhone catalizza una rivoluzione nel mondo del mobile e crea un successo planetario oltre le più rosee aspettative e che l’arrivo di iPad all’inizio di questi anni ’10 non ha potuto che corroborare.

Il lustro 2007-2012, sarà probabilmente ricordato come l’Età dell’Oro di Apple: ma questo smisurato quanto meritatissimo successo sospinto dall’imprimatur di Jobs, ha incrociato il dramma personale della sua malattia che, keynote dopo keynote, lo ha mostrato al pubblico sempre più magro e debilitato, fino a convicerlo a dimettersi da ogni carica operativa.

E un anno fa se n’è andato così, in punta di piedi, lasciando al mondo una Apple che oggi è la società più capitalizzata al mondo e una serie di track record incredibili.

Ma i record migliori, quelli più belli sono senza dubbio i suoi, le cui imprese resteranno per decenni nei testi di marketing e di management. E in quelli delle lezioni di vita.

Alessandro Palmisano – [Marketing Manager BuyDifferent]

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